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Le storie che fanno storia

Written By Giorgio G on mercoledì 11 aprile 2012 | 01:06


Pochi giorni fa è stata celebrata la loro festa. Messaggi pieni di affetto, auguri e regali per i papà. Per molti uomini la paternità è una delle esperienze, se non l’esperienza, più significativa della vita.
Tra i tanti volti della paternità ce n’è uno, però, pieno di ombre e di incertezze. Parliamo dei padri separati. Sono loro i nuovi poveri del terzo millennio.
Il copione è lo stesso e i problemi tanti: la separazione, la ricerca di una nuova casa, un nuovo affitto da aggiungere al vecchio mutuo, le trafile burocratiche per vedere i figli. Cambiano vita, città e spesso lavoro. Un lavoro precario, quando riescono a trovarlo. Ma c’è anche chi, oltre alla vita ‘normale’, con la separazione perde anche il lavoro.
Così, all’improvviso, si ritrovano in un mondo che non è il loro. Nell’universo sconfinato della povertà.
Operai, impiegati, artigiani e commercianti, migliaia di lavoratori che la separazione e la crisi economica ha trasformato nei nuovi poveri. Uomini ai quali lo stipendio non basta più.
I dati Eurispes parlano chiaro: 4 milioni i padri separati in Italia, l’80% di loro non arriva a fine mese. Sottraendo allo stipendio di un lavoratore medio gli assegni mensili, che nel 97,9% dei casi sono a carico del marito, e quelli per il mantenimento dei figli, ai padri non resta di che vivere. Un dato su tutti: secondo l’Ami (Associazione matrimonialisti italiani, ndr) il 25% degli ospiti delle mense dei poveri sono separati e divorziati.
Un preoccupante termometro della situazione sociale”, afferma Roberto Castelli, presidente dell’Associazione Genitori Sottratti che, in una lettera inviata al Ministro della Giustizia Paola Severino, sottolinea come “l’osservatorio privilegiato da cui queste associazioni guardano la scena sociale impone che anche questa, fra le emergenze sociali, venga risolta al più presto e nel migliore dei modi. Se due genitori si separano – continua Castelli – per i bambini significa quasi certamente perderne uno dei due che, di solito, nel 90% dei casi, è il padre. La percentuale di esclusione paterna dalla vita dei figli è così prepotente che ci apre a più letture. Bisogna promuovere la cultura della bigenitorialità”.
Ed è questo uno degli obiettivi dell’Associazione Genitori Sottratti, che ha sede a Bologna e opera su tutto il territorio regionale. Con Giuseppe Pasqui, segretario dell’Associazione e padre separato, abbiamo provato a definire, in termini numerici, il fenomeno dei nuovi poveri. “E’ difficile ad oggi poter quantificare quanti sono in Emilia Romagna i padri separati che rientrano nella categoria dei nuovi poveri – spiega – intanto perchè non esiste un vero e proprio censimento. Molti padri che si ritrovano catapultati dall’oggi al domani in questa triste realtà spesso, per vergogna o per cercare di mantenere la dignità, non parlano della propria situazione. La certezza è, però, che il trend è in forte crescita. La vita dei padri separati in questa società è immotivatamente dura. Si perdono i diritti e i piaceri dell’essere genitore – continua – si deve adempiere solo a tutta una serie di doveri, esclusivamente economici. È questa una delle ragioni che trasformano tanti uomini normali in veri e propri barboni”.
Uomini come Alessandro Fino, 37 anni, ex dirigente della Lega Rugby, padre separato. Una vita, la sua, stravolta il 9 febbraio del 2009.
Alessandro aveva un lavoro, una casa, una posizione. Una vita ‘normale’ a Parma, la città in cui aveva frequentato l’Università e in cui aveva scelto di restare.
La sua è una triste parabola, come quella di tanti altri padri separati, tra aule di tribunali, uffici di assistenti sociali e brevi incontri col proprio figlio.
Quella sera di febbraio, rientrando dal lavoro, trovai la casa vuota – racconta Alessandro – non c’erano la culla, il seggiolone, le foto alle pareti, i tappetini del piccolo di 13 mesi che gattonava e imparava a camminare. Il giorno dopo fui chiamato in Questura e la mano invisibile dei Servizi Sociali e del Centro Antiviolenza di Parma aveva cucito su di me il vestito del violento e del padre incapace di adempiere al proprio ruolo di genitore”.
Parla senza mezzi termini Alessandro: “Sono stato considerato un violento, non meritevole di essere padre. Accusato di essere un padre disinteressato alla propria famiglia, ho scoperto che lavorare nel campo del rugby significasse essere violento e che avere la sclerosi multipla equivalesse ad essere pazzo”.
Da quel 9 febbraio 2009 la vita di Alessandro non è stata più la stessa. Tante le spese processuali, i costi per pagarsi un avvocato che lo difendesse dall’accusa di violenza e un’esistenza tutta da ricostruire.
Non avevo più un letto in cui dormire, chiedevo soldi agli amici, un prestito in banca per pagare i treni da Parma a Roma per vedere mio figlio, che lì si era trasferito insieme alla madre. Dormivo in macchina, nei parchi, dal primo conoscente disposto ad ospitarmi, anche solo per una notte”.
Da dirigente affermato, con uno stipendio che gli permetteva una vita agiata, Alessandro si è ritrovato povero: “Avevo debiti con tanti, anche con legali, sono nella lista dei cattivi pagatori perché non basta nemmeno fare il cameriere, come da studente, per far fronte a spese che prima erano normali. Nel 2010 il mio reddito era di 5.400 euro, contro gli oltre 24mila che guadagnavo prima, con un lavoro ed una professionalità acquisita in anni di studio e lavoro. Mi sono ritrovato a dover accettare più di uno stage o tirocinio a 37 anni, nonostante la laurea, il master e un profilo ampio. Sono ripartito dal servire ai tavoli”.
Di come sia cambiata la sua vita e dei problemi che ha dovuto affrontare Alessandro parla senza alcuna vergogna. “Negli ultimi mesi la difficoltà maggiore è stata la mancanza di una casa. In tutti questi anni a Parma ho conosciuto parecchi amici e in tanti mi hanno aiutato. È capitato anche che alle 4 del mattino a svegliarmi fossero i camion che svuotano i bidoni e io che ci dormivo vicino – confessa Alessandro che, ricordando le notti trascorse vagabondando per la città dice – qualcuno avrà pensato che fossi un profugo, a lavarmi e radermi nelle fontane o nelle camere dei reparti del Maggiore, che conosco da anni: ero solo un papà in grosse difficoltà”.
Non solo difficoltà economiche per Alessandro. “Ho vissuto per anni circondato dal sospetto della gente che pensava chissà quali violenze facessi alla mia ex compagna e a mio figlio”, spiega.
E quando gli chiedo se pensa che il problema dei padri separati e dei nuovi poveri sia imputabile ad un sistema giudiziario che tende, molto spesso, a tutelare maggiormente la figura materna, risponde: “Credo dipenda da un sistema più ampio, che comprende anche figure istituzionali come gli assistenti sociali. In questi anni ho conosciuto tanti assistenti sociali, psicologi ed educatori che, con una firma, hanno deciso del rapporto tra figlio, padre e madre. Il sistema va rivisto – sostiene Alessandro – ci sono tante lacune e tante superficialità che danneggiano soprattutto i bambini. Non spetta a me giudicare il sistema giudiziario sulla famiglia, ma così com’è attualmente non va. Con le associazioni di genitori abbiamo presentato, anche attraverso le commissioni parlamentari, diversi studi e proposte per modificare le leggi e proporre l’attuazione di vecchie norme mai applicate, primo su tutti il diritto alla bigenitorialità per i minori, sancito dalla legge 54/2006 e da numerosi trattati internazionali”.
Da quando ha iniziato la sua personale lotta per il diritto ad essere padre, Alessandro non ha mai risparmiato dure critiche ai Servizi Sociali che si sono occupati del suo caso e al Centro Antiviolenza di Parma: “Non si possono inventare storie di violenza per garantire o vendere un ‘prodotto’ che non si sa gestire” - accusa, parlando del fascicolo che Questura, Servizi Sociali e Centro Antiviolenza presentarono all’indomani della denuncia dell’ex compagna e che per lui restano ”8 pagine costruite ad hoc da pseudo esperti guidati forse da interessi economici”.

ParmaNews24
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