Colibrì il coordinamento costituito associazioni di genitori separati e Centri Antiviolenza, rappresenta una interfaccia che in molteplici occasioni si è espressa con le istituzioni.
Colibrì dispone di un osservatorio sugli omicidi femminili, basato sulle notizie pervenute sui media, TV, Giornali, ISTAT. E' nel massimo rispetto di ogni vittima di violenza riteniamo doveroso esporre questi dati e considerazioni affinché possa risultare più chiara la narrazione sull'omicidio femminile.
Femminicidio
Definizione inesistente nel nostro impianto normativo, “femminicidio” è un termine esclusivamente mediatico che non esiste nel Codice Penale come fattispecie autonoma di reato, ne’ come aggravante.
La Commissione sul Femminicidio presieduta dalla Senatrice Valente (PD) non ha mai voluto o saputo dare una definizione ufficiale di “femminicidio”, non ha voluto o saputo definire i criteri ai quali un determinato episodio debba conformarsi per essere catalogato come “femminicidio”, ne’ ha mai voluto o saputo pubblicare un elenco istituzionale fatti di sangue che a tali criteri corrispondono.
Gli elenchi ufficiosi si susseguono con dati discordanti fra loro e sempre orientati al sensazionalismo, finalizzati quindi a gonfiare i numeri creando allarme per un fenomeno dai contorni enormemente diversi rispetto a quelli reali.
Demistificazione - dati 2020
Nell’analizzare i femminicidi o presunti tali, anche per il 2020 riscontriamo gli stessi problemi degli anni precedenti: non esiste un criterio di rilevazione unico, non esiste un database ufficiale di fonte ministeriale, diverse voci ufficiose divulgano dati discordanti tra loro, la maggioranza delle fonti – anche autorevoli – che citano dati sul femminicidio non pubblicano i casi concreti ai quali tali dati farebbero riferimento. È quindi estremamente complessa, come sempre, un’analisi dettagliata. A ridosso del 25 novembre vengono solitamente pubblicati i report Eures, Polizia, Carabinieri ed altri ancora, sempre però con una casistica non verificabile, priva sia dei nominativi delle presunte vittime di femminicidio, sia dei link alle relative notizie di cronaca. Quindi si tratta sempre di dati non verificabili.
Tuttavia, come nelle occasioni precedenti, analizziamo gli elenchi pubblicati da femminicidioitalia.info e inquantodonna.it, due siti che i nominativi li pubblicano. Il primo dato che emerge è la già citata discordanza dei dati: 74 vittime in un elenco, 72 nell’altro. Alcuni casi poi compaiono in un elenco ma non nell’altro e viceversa, tanto che il computo dei due elenchi incrociati dà un totale di 85 episodi da gennaio a dicembre, giusto per comprendere la confusione che regna tra chi alimenta l’allarme femminicidio. Infine, prima di entrare nei dettagli, salta agli occhi la rilevanza numerica sensibilmente inferiore a quella propagandata come emergenza femminicidio dalle fonti istituzionali. Negli anni i numeri sono cambiati (140/150 femminicidi nei dodici mesi) e anche gli slogan sono cambiati, passando da “un femminicidio ogni 36 ore” a “uno ogni due giorni”, poi “uno ogni tre giorni” e infine il trend propagandistico si è assestato su “un femminicidio ogni 72 ore”, allarme riportato ossessivamente nel 2019 per poi tornare ad “un femminicidio ogni due giorni durante il lockdown”.
Un allarme fittizio viene costruito ed alimentato dalla teoria secondo la quale i femminicidi sarebbero in costante aumento da anni. Non è vero ma la narrazione omette sempre, va ricordato, di documentare i numeri della mattanza. Dall’analisi dei casi elencati come “femminicidi” emerge con preoccupante continuità l’errore di considerare un delitto di genere ciò che di genere non è. È importante analizzare nei dettagli tutti gli aspetti di un evento delittuoso, in quanto ciò che identifica un femminicidio e lo rende diverso dall’uccisione di una donna per qualsiasi altra ragione, è proprio il movente. Esclusivamente il movente. Nella tabella interattiva visualizzabile a questo link abbiamo analizzato caso per caso gli elenchi pubblicati, incrociando i nominativi presenti sui due diversi siti. La tabella riporta i singoli casi numerati progressivamente, con il nome della vittima, la data e il luogo del delitto, in quale elenco appare e un link alla notizia di riferimento. Dove indispensabile è inserito un commento, visualizzabile su pop up semplicemente cliccando.
L’allarme per la presunta emergenza femminicidio viene utilizzato per sostenere che l’Italia sarebbe un Paese inquinato dalla toxic masculinity, quindi intriso di sovrastrutture culturali maschiliste tali da portare gli uomini italiani a considerare la donna una proprietà esclusiva, della quale disporre a piacimento anche togliendole la vita. Per cui, a conclusione della teoria “emergenza femminicidio”, gli uomini italiani andrebbero rieducati. L’elemento dell’oppressione maschilista deve comparire come movente di ogni “donna uccisa inquantodonna”, che è lo slogan all’origine della corrente di pensiero che ha lanciato il termine femminicidio, inesistente sia come fattispecie autonoma di reato che come circostanza aggravante, ma entrato a far parte del lessico comune, soprattutto mediatico, grazie alla incessante campagna di vittimizzazione. I dati reali dicono tutt’altro, vediamoli in sintesi, traendoli dalla classificazione che abbiamo fatto.
L’Italia sarebbe un Paese patriarcale.
In totale i casi risultano 86, la maggior parte dei quali sono presenti in entrambi gli elenchi femminicidioitalia o inquantodonna, mentre alcuni compaiono solo in uno dei due. Sugli 86 casi si contano 2 omicidi preterintenzionali e 15 omicidi commessi da stranieri originari di: Marocco (4), Romania (3), Serbia, Bangladesh, Ucraina, Albania, Pakistan, Danimarca, Tunisia, Ghana. I femminicidi “propriamente detti”, definizione della Polizia di Stato per distinguere le donne uccise con movente passionale o di genere dalle donne uccise per qualsiasi altro motivo, sono in tutto 44. Gli altri 42 casi non possono essere definiti femminicidi, perché non hanno nulla a che vedere con la gelosia morbosa, il possesso, la mancata accettazione di un rifiuto, il patriarcato, l’uccisione in quanto donna, bensì con altri moventi, evidenziati nei commenti in pop-up che trovate sulla tabella. Sul piano statistico vale poi la pena rilevare che tra i “non-femminicidi” si trovano: 1 caso in cui l’assassino è donna; 9 casi in cui il movente è economico, 11 delitti tra anziani, con vittima gravemente malata, casi di solitudine e disperazione; 15 casi in cui l’assassino è un non italiano; 3 madri uccise dal figlio in genere con gravi problemi psichiatrici; 13 casi di depressione, tossicodipendenza o disturbo mentale conclamato dell’assassino, in cura presso diversi centri di igiene mentale o anche con TSO richiesti ma non eseguiti.
I delitti fra anziani si trovano tra i femminicidi ad ogni verifica. Episodi in cui il marito 80enne uccide la moglie malata terminale per non farla più soffrire e poi si toglie la vita o tenta di farlo. Delitti unanimemente definiti della disperazione, della pietas, della solitudine, della depressione e della sofferenza. Si registrano casi in cui la decisione di farla finita è di entrambi, casi in cui lasciano scritto di essere sepolti insieme, casi in cui dicono di non voler essere più un peso per i figli, ma che vengono comunque spacciati per delitti dell’oppressione di genere, del patriarcato, del maschilismo tossico, etc. In un caso il genitore 74enne malato terminale si suicida insieme alla figlia disabile, che non poteva lasciare sola dopo la sua morte. Però è conteggiato come femminicidio. Occorre poi una ricorrente precisazione, che compare ad ogni analisi dei dati sul femminicidio: lo scorporo dei delitti compiuti da cittadini stranieri. Non è una diminutio della gravità del gesto, né tantomeno una sottovalutazione della vita di una donna ucraina o tunisina rispetto alla vita di una donna italiana. Ciò che va rilevato è che i delitti maturati in contesti socioculturali estremamente diversi da quello italiano vengono utilizzati per sostenere che l’Italia sarebbe un Paese patriarcale, oppressivo, maschilista e saturo di sovrastrutture culturali misogine, un Paese che dovrebbe essere bonificato rieducando gli uomini italiani. Tutti, non il criminale che uccide una donna. Quindi quando il marito pakistano uccide la moglie o il padre bengalese uccide la figlia, le notizie vengono inserite nel conteggio per sostenere che andrebbero rieducati il Carabiniere casertano che li arresta, il PM fiorentino che li incrimina e il Giudice bolognese che li condanna.
Un Paese che odia le donne…
La strumentalizzazione dei delitti compiuti da cittadini stranieri emerge anche dall’ultimo triste episodio del 2020, la morte di Agitu Ideo Gudeta, esule etiope divenuta piccola imprenditrice di successo in Italia. I social si riempiono di condanne per la società italiana, i media insistono nel citare una denuncia del 2018 sporta dalla donna contro un 50enne italiano per stalking, lesioni e minacce a sfondo razzista. “Una vittima di discriminazione razziale e stalking”, testuale. Salvo poi dover riconoscere che si trattava di una lite come tante tra vicini, l’uomo era stato condannato per essere venuto alle mani con un dipendente di Agita originario del Mali, non con Agita stessa, e assolto sia dal reato di stalking che dall’aggravante razzista. Però come capita spesso gli accertamenti giudiziari non hanno peso, ciò che conta è solo scrivere che era stata presentata denuncia per reati che automaticamente diventano acclarati, certi ed indiscutibili a prescindere dalle istruttorie dei magistrati inquirenti. C’è persino chi ha scritto che nel condannare il 50enne per il diverbio col casaro maliano i giudici lo avevano assolto dallo stalking verso Agita poiché il reato era “caduto nel dimenticatoio”, testuale.
Quindi una distrazione, una svista, non l’accertamento in sede giudiziaria dell’insussistenza delle accuse. Le accuse sono fondate per il solo fatto di essere state formulate, se non arriva la condanna la colpa è per forza dei giudici che non hanno capito niente, o si sono dimenticati, o hanno valutato male, o forse sono più razzisti del razzista che dovevano obbligatoriamente giudicare colpevole. Ecco che la persona condannata nel 2018 per una lite col dipendente diventa il principale indiziato per l’omicidio due anni dopo della datrice di lavoro. Indiziato per gli inquirenti ma soprattutto per i media ed i social, che hanno già trovato il colpevole. Femminicidio, bisogna rieducare gli uomini italiani. Poi confessa l’assassino ma non è il 50enne di cui sopra e non è nemmeno italiano, inoltre il movente è economico: l’aggressione nasce per rivendicare uno stipendio non pagato. Ma non cambia nulla, i pregiudizi ideologici sono profondamente radicati, lo stigma sul carattere ossessivamente nazionale dell’oppressione di genere è inamovibile. Gli italiani devono essere rieducati perché il nostro è proprio un Paese che odia le donne (un esempio tra i tanti, questo commento trovato sul web).
Anche una sola vita persa a causa della gelosia morbosa è intollerabile.
Sorprendente è poi la forzatura operata sistematicamente quando dallo stesso episodio scaturiscono vittime ambosessi. Tale forzatura si verifica in 5 episodi del 2020: l’assassino è lo stesso, il movente è lo stesso, l’arma è la stessa, è lo stesso anche il contesto familiare e socioeconomico nel quale il dramma matura, però la motivazione del dramma si sdoppia in base al genere delle vittime: gli uomini possono essere uccisi per motivi economici, per un disturbo mentale dell’assassino, per un delirante desiderio di rimanere uniti ai figli anche oltre la morte… per le donne invece la pulsione omicida prescinde dai fatti ed è sempre l’uccisione inquantodonna. Il padre assassino uccide il figlio perché lo ama di un amore insano e vuole portarlo con sé, invece uccide la figlia perché odia le donne. In conclusione ripetiamo lo stesso principio espresso negli anni precedenti: il lavoro di approfondimento non significa negare gli omicidi di donne definiti “femminicidi” dalle forze dell’ordine, ma stornare i falsi femminicidi, le letture ideologiche, le forzature, le strumentalizzazioni, il che è cosa molto diversa. Anche una sola vita persa a causa della gelosia morbosa è intollerabile, ma dobbiamo chiederci per quale motivo nel calderone del femminicidio finisca di tutto ed i casi reali vengano raddoppiati.
https://www.lafionda.com/conti-di-fine-anno-lusuale-falsificazione-sui-femminicidi/
Demistificazione - dati 2021
Michela Murgia, recentemente venuta a mancare, è stata la maggiore idologa del femminicidio. Nel video di presentazione dell’Osservatorio di Repubblica fa una lunga dissertazione sul femminicidio che secondo lei sarebbe tutto e il contrario di tutto: «il femminicidio è anche la morte professionale, la negazione della parità di salario, la quantità di rinunce lavorative legate alla gravidanza; è un termine che identifica il processo di mortificazione delle donne; è femminicida lo Stato che non cerca di rimuovere gli ostacoli alla piena realizzazione delle donne; è femminicida il giudizio estetico o morale sui corpi e sulle scelte delle donne perché condiziona la qualità della vita di tutte noi; il femminicidio è colpa delle famiglie italiane che attribuiscono ruoli patriarcali di genere». Quindi, secondo la scrittrice-opinionista-attivista gender oriented-conduttrice radiofonica, una commessa che guadagna poco è vittima di femminicdio, una donna che sceglie la carriera invece della maternità è vittima di femminicidio o lo favorisce, una famiglia che educa normalmente i propri figli secondo è fomentatrice di femminicidio. Concetti fin troppo stiracchiati, ma funzionali al fanatismo ideologico: «il femminicidio è la mortificazione civile, cioè tutte quelle negazioni di dignità fisica, psichica e morale che sono rivolte sia alle singole donne in quanto tali, sia a tutte le donne nella loro appartenenza di genere».
Ecco l’architrave della narrazione ideologica: “donne in quanto tali”.
Cercando di restare più aderente al concetto di femminicidio come uccisione di una donna, la Murgia sempre nel video dice che si tratta di «donne uccise per possessività, radice culturale del fenomeno, cultura maschilista e patriarcale». Infatti individua come autori di femminicidio, nell’ordine: «uomini, mariti, compagni, ex mariti, padri, fidanzati lasciati o mai voluti». Non cita figli, fratelli e cugini tra i parenti, né altri soggetti maschili che possono uccidere una donna come rapinatori, spacciatori, usurai, malavitosi in genere o squilibrati con vari gradi di disturbo psichiatrico conclamato. Ma soprattutto non cita madri che uccidono figlie o figlie che uccidono madri, eppure tutta questa casistica di assassini (figli, cugini, rapinatori, spacciatori, squilibrati, madri, figlie e nipotine) viene inserita nell’osservatorio di Repubblica che la Murgia stessa presenta e pubblicizza. Forse non se n’è accorta, diciamo che probabilmente si è distratta, non vogliamo dire che lo faccia di proposito altrimenti è un attacco a «tutte le donne nella loro appartenenza di genere». Al di là delle prese di posizione della maggiore sponsor dell’Osservatorio Femminicidio di Repubblica, pubblichiamo l’analisi caso per caso dei femminicidi, o presunti tali, inseriti nell’elenco pubblicato dall’Osservatorio stesso.
L’osservatorio di Repubblica sui “femminicidi”: un deposito di falsità (1)
A gennaio 2022 è stata annunciata la nascita dell’Osservatorio sul Femminicidio targato Repubblica, che esordisce annunciando la catalogazione di 112 femminicidi nel 2020. Noi il debunking lo facciamo da anni, analizzando caso per caso e stornando gli episodi con moventi diversi dall’uccisione di una donna inquantodonna, che quindi non hanno nulla a che vedere con oppressione di genere, patriarcato, sovrastrutture culturali misogine, toxic masculinity, possesso, mancata accettazione di un rifiuto, gelosia morbosa, etc.
La nostra analisi del 2020 registrava 44 casi come femminicidio “propriamente detto”, per usare una definizione della Polizia di Stato. Ma Repubblica dice 112 ed è lecito chiedersi da cosa derivi un divario così macroscopico.
Abbiamo salvato l’intero elenco di 10 pagine quindi abbiamo cercato ed analizzato diverse fonti mediatiche per ognuno dei singoli casi citati. È un lavoro lungo e noioso, ma andava fatto. Probabilmente qualcuno si stupirà (o si indignerà?) nel vedere cosa si riesce ad inserire tra i femminicidi pur di far salire i numeri, ma molti lettori troveranno il lavoro dell’Osservatorio di Repubblica perfettamente in linea con quanto già emerso in merito al gruppo GEDI (qui e qui). L’Osservatorio è il frutto di un accurato lavoro di ricerca, dicono. Bene, vediamo cosa sia scaturito da tale accurato lavoro. Entriamo nel merito: 112 femminicidi catalogati come tali ma l’elenco pubblicato contiene 120 nominativi: 37 sono gli episodi inediti rispetto agli elenchi già analizzati: files, analisi e tabelle pubblicate sul nostro portale. Suddividiamo l’analisi dei casi inediti in quattro successive fasi, 7 casi oggi e 10 nelle tre fasi successive.
Così nascono 112 femminicidi.
Rosa Santucci – 88 anni, uccisa dal nipote Alessio per quello che risulta difficile definire solo un movente economico: aveva rifiutato di consegnargli una moneta per la brioche. “Uccisa per un euro“ titolano i giornali, che riferiscono gravi e conclamati disturbi psichiatrici del nipote assassino: “in cura per una schizofrenia che lo ha reso invalido al 100%, con tanto di pensione di accompagnamento“. Il movente economico sembra essere ininfluente. Rosa la sera dell’omicidio aveva ancora una volta imposto al nipote di prendere i medicinali per la terapia che doveva seguire e già questo aveva suscitato il risentimento di Alessio, di solito recalcitrante alle cure. Poi il rifiuto della moneta ha costituito nella mente malata l’elemento scatenate di una rabbia omicida. Un pretesto qualsiasi lo avrebbe fatto esplodere.
In questa vicenda non c’è la gelosia morbosa, non c’è patriarcato, non c’è maschilità tossica, c’è solo la malattia psichiatrica di una persona che da apparentemente innocua può trasformarsi in omicida senza alcun motivo. Alessio avrebbe potuto dare sfogo alla sua follia pestando a morte il nonno, un bambino, un sacerdote, chiunque avesse individuato al momento come causa del suo malessere a prescindere da qualsiasi caratteristica quale età, ruolo, genere. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Rosa sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della cultura patriarcale del suo assassino. Così nascono 112 femminicidi
Jennifer Francesca Krasniqi – bambina di 6 anni morta, come sembra inizialmente, nel rogo dell’abitazione nella quale vive con la madre Pavlina Mitkova. Le indagini e l’autopsia rivelano un’altra verità: è stata uccisa dalla madre, la bimba è deceduta tre ore prima dell’incendio appiccato dalla madre stessa, che è in carcere per omicidio volontario ed incendio doloso. “Da escludere cause riconducibili a una morte naturale. La procura ha disposto una perizia sulla donna, in carcere dallo scorso 21 gennaio, i cui esiti potranno chiarire se era in grado di intendere e di volere al momento della tragedia…”. Del tutto assente sulla scena del crimine la figura maschile, tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi, quindi Jennifer sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione di genere, gelosia morbosa, etc. Così nascono 112 femminicidi
Elsa Giribone – 95 anni, viene uccisa dal figlio che poi si toglie la vita. Mauro Torterolo, 72 anni, non sopporta più le sofferenze della madre malata di Alzheimer, che non è in grado di alleviare. Anche le sue condizioni di salute peggiorano e decide di porre fine alle sofferenze di entrambi. Ha lasciato un biglietto alla figlia Monica. «Con la nonna non ce la faccio più, ho il cuore a pezzi, non voglio finire su una sedia a rotelle anch’io, la nonna la porto via con me». “Un omicidio-suicidio frutto della malattia e della depressione”, dichiarano gli inquirenti ai cronisti. Ogni anno elenchiamo diversi episodi che definiamo delitti eutanasici, quelli cioè scaturiti dalla consapevolezza di non poter alleviare il dolore di un congiunto e dal conseguente desiderio di porre fine alle sue sofferenze. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi, quindi Elsa sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della gelosia morbosa, della misoginia, eccetera. Così nascono 112 femminicidi.
Maricica Taran – lite feroce, Maricica e tale Gheorghe Nechita si accoltellano vicendevolmente a morte. Gli inquirenti non hanno chiarito del tutto il movente, sicuramente è di natura economica ma potrebbero esserci anche delle implicazioni passionali: Maricica era sposata ma saltuariamente lei e il marito, entrambi rumeni, ospitavano il connazionale Gheorghe, che è divenuto contemporanea mente vittima ed assassino. Indagini concluse, senza poter stabilire una ipotetica relazione extraconiugale ne’ la dinamica dell’episodio, non è possibile sapere chi abbia aggredito l’altro per primo. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Maricica sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa del patriarcato, della misoginia, eccetera. Così nascono 112 femminicidi
Agnese Mazzan – uccisa dal marito con un mix di farmaci, doppio suicidio pianificato insieme. “Una scelta condivisa e consapevole che la coppia ha voluto esternare in una lettera firmata lasciata in bella vista sul tavolo”. Lui tenta di iniettarsi lo stesso mix ma non trova la vena e dopo diversi tentativi prova a suicidarsi con un sacchetto di plastica, senza riuscirvi. “Tra i motivi della scelta la volontà di andarsene insieme, essendo entrambi gravemente malati, e il desiderio di non essere un peso per i propri figli, come spiegato in una lettera. Con l’avanzare dell’età i problemi di salute non hanno risparmiato la coppia, e Agnese ultimamente era malata e non usciva più di casa. Così insieme al marito ha deciso di farla finita”. Una volontà comune, tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi, quindi Agnese sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della gelosia morbosa, del possesso maschilista, eccetera. Così nascono 112 femminicidi.
Elisa Fidanza – 90 anni, morta nell’auto della figlia, anche lei ritrovata in stato di incoscienza. Probabile tentativo di omicidio-suicidio, nell’auto sono stati rinvenuti flaconi di farmaci vuoti. “Al momento i militari della stazione di Portoferraio non tralasciano alcuna ipotesi: da un eventuale malore capitato alla madre all’assunzione di farmaci. Il medico legale, giunto sul posto la mattina di ieri, ha escluso la presenza di segni evidenti di violenza sul corpo dell’anziana. Ma saranno l’autopsia e gli esami tossicologici che nelle prossime ore saranno disposti dalla Procura di Livorno a chiarire quanto accaduto”. Nel caso precedente un tentativo di omicidio-suicidio non riuscito, nonostante la volontà espressa per iscritto da entrambi, è femminicidio. In questo caso un episodio analogo, ma con due donne coinvolte, è sempre femminicidio quindi Elisa sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della prevaricazione di genere. Così nascono 112 femminicidi.
Fiorella Scarponi – omicidio che non è nemmeno possibile classificare come tentata rapina, sembra solo il gesto sconsiderato di un pazzo. L’omicida è uno psicolabile che “sente le voci del diavolo” e irrompe senza motivo a casa Scarponi, sfonda una finestra, raccoglie una scheggia di vetro e si avventa sui coniugi: 4 pugnalate al marito e una sola, fatale, alla moglie. Il marito viene ricoverato in prognosi riservata ma si salva, Fiorella purtroppo no. Non esiste alcun motivo di risentimento verso le sue vittime o verso quella casa in particolare, l’assassino aveva già tentato di fare irruzione in altre case. Non ci sono rancori di vicinato, non c’è stata una lite, non ha chiesto soldi, non ha rubato oggetti… ha pugnalato ed è fuggito perché il diavolo gli aveva ordinato di fare così. La violenza del folle, per quanto immotivata e tragicamente random, era diretta verso entrambi i coniugi e ha infierito con maggiore accanimento sull’uomo. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Fiorella sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione patriarcale. Così nascono 112 femminicidi.
Già così la modalità di compilazione di tale Osservatorio non può essere definita né informazione né diritto di cronaca; sembra piuttosto propaganda ideologica per classificare come delitti dell’odio misogino episodi che, pur tragici, con l’odio misogino non hanno nulla a che fare. E non è finita qui, la demistificazione dettagliata continua.
L’osservatorio di Repubblica sui “femminicidi”: un deposito di falsità (2)
Seconda tranche dei femminicidi, o presunti tali, inseriti nell’elenco pubblicato dall’Osservatorio di Repubblica.
Giulia Giacomini – 94 anni, uccisa dalla figlia nel corso di una lite. «Mia madre ha ucciso la nonna», una donna 44enne di Carnago si è rivolta ai carabinieri di Albizzate per segnalare che la madre 72enne, Gianna Guglielmetti residente a Jerago con Orago, durante la notte ed a seguito di un diverbio, aveva colpito la nonna 94enne al capo con un oggetto contundente, causandone il decesso. La figlia uccide l’anziana madre, non esiste alcuna figura maschile sulla scena del crimine, comunque la colpa è sempre dell’odio maschile verso le donne. L’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Giulia sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione patriarcale. Così nascono 112 femminicidi.
Sonia Nacci – tossicodipendente uccisa per debiti accumulati non avendo pagato gli stupefacenti che assumeva. Movente economico, delitto esecrabile ma maturato nell’ambito dello spaccio di stupefacenti e non dell’oppressione patriarcale. Nell’ottica criminale Sonia non è stata uccisa inquantodonna ma inquantoladra; qualsiasi spacciatore di droga ha tutto l’interesse a garantirsi clienti che pagano regolarmente e costituiscono una costante fonte di guadagno. Il debito non pagato va invece sanzionato duramente, anche come lezione ad altri tossici. Il pestaggio, anche con esiti mortali, ha riguardato, riguarda e riguarderà prevalentemente tossicodipendenti maschi, il genere del debitore da punire non c’entra nulla. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Sonia sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della gelosia morbosa o sovrastrutture culturali maschiliste. Così nascono 112 femminicidi
Maria Angela Corona – delitto su commissione architettato dalla nipote, Francesca Castronovo, che assolda due balordi per uccidere la zia e nasconderne il corpo. Vecchie ruggini ed attriti continui il movente dell’omicidio: «Sin dalle prime battute l’inchiesta si era orientata sulla pista familiare. Le testimonianze, infatti, avevano confermato che Maria Angela aveva litigato più volte con i suoi familiari e che le tensioni erano costanti, al punto da ipotizzare un disegno criminoso in seno alla famiglia. In manette è finita la nipote della donna e i due autori materiali del delitto. Sono accusati di omicidio e occultamento di cadavere in concorso». Dall’interrogatorio in carcere: «Voglio chiarire che ho consegnato 100 mila euro in contanti per l’omicidio di mia zia. Erano soldi che avevo messo da parte per comprare un appartamento. Sono davvero pentita per avere dissipato questa somma di denaro in questo modo».
Quindi il pentimento arriva non tanto per l’omicidio della zia, quanto per il costo che ha avuto. Immediatamente dopo il ritrovamento del cadavere l’episodio è stato classificato come femminicidio dalla Senatrice Cinzia Leone, che si è affrettata ad esprimere alla stampa le sue certezze. Poi le indagini hanno rivelato che la mente che ha architettato il disegno criminale è quella della nipote, era lei a volere la morte della zia. Sono uomini gli esecutori materiali ma per loro il movente è esclusivamente economico: dietro compenso avrebbero eseguito le direttive della mandante a prescindere dal genere della vittima, con la quale peraltro non avevano alcun motivo di risentimento e che nemmeno conoscevano. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Maria Angela sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione di genere. Così nascono 112 femminicidi.
Rosina Cassetti – Secondo gli inquirenti la figlia di Rosina, Arianna Orazi, architetta l’omicidio della madre. Il movente è economico ed Arianna spinge ad eseguire l’omicidio il figlio Enea, nipote della vittima. Ma è femminicidio. La mente assassina è quella di Arianna, che si preoccupa anche di architettare un piano per depistare le indagini, inventa un ladro misterioso, prova a costruire un alibi per sé e per l’esecutore materiale del suo piano criminoso. Ma è femminicidio. L’aberrazione di questa madre è tale da spingere il nipote a strangolare la nonna. Ma è femminicidio. Episodio che mostra un’avidità assassina, totale mancanza di scrupoli nei confronti sia di Rosina che di Enea, premeditazione, pianificazione dell’omicidio e del depistaggio. Ma viene inserito nel calderone delle donne morte a causa del patriarcato, dell’oppressione di genere, delle sovrastrutture culturali misogine, della toxic masculinity, della gelosia morbosa, eccetera. Così nascono 112 femminicidi.
Maria Chiara Previtali – tossicodipendente morta per overdose, il fidanzato Francesco Gnucci iscritto nel registro degli indagati per aver procurato a Maria Chiara l’eroina. Si sono “fatti” insieme, l’eroina era il regalo di Francesco per il compleanno della sua amata che avrebbe compiuto 18 anni. Lui si è risvegliato, Maria Chiara no. Dopo due mesi: «in overdose il giovane indagato per la morte della fidanzata Maria Chiara Previtali. Francesco Gnucci, il 21enne di Amelia indagato per la morte della fidanzata di 18 anni Maria Chiara Previtali avvenuta a causa dell’assunzione di droga lo scorso 10 ottobre, è stato abbandonato nella notte tra venerdì e sabato in overdose davanti all’ospedale della cittadina umbra in gravi condizioni». Una tristissima storia di tossicodipendenza, non certo di violenza maschilista. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Maria Chiara sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione di genere. Così nascono 112 femminicidi.
Giuseppina Valetti – Padre e madre uccisi a coltellate dal figlio. «Il giovane ha confessato di aver ucciso i genitori, rispettivamente di 69 e 60 anni, in casa, nel quartiere Mirafiori a Torino. Dai primi accertamenti dei carabinieri del Comando provinciale di Torino, nel pomeriggio di ieri il giovane al culmine di un litigio per futili motivi, avrebbe accoltellato a morte i genitori che si erano recati nella sua abitazione per fargli visita». Duplice delitto apparentemente senza spiegazione, non risultano disturbi psichiatrici conclamati a carico dell’assassino. È comunque difficile comprendere come mai il ragazzo avrebbe ucciso il padre perché è impazzito e la madre perché odia le donne. Le due vittime sono state uccise dalla stessa persona, nello stesso momento, con le stesse modalità, però l’uomo è vittima della follia, la donna è vittima del patriarcato. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Giuseppina sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa delle discriminazioni di genere. Così nascono 112 femminicidi.
Loredana Stupazzoni – Fatta a pezzi dalla figlia, l’accusava della morte del nipotino. La confessione: «Non so perchè l’ho fatto, mi rendo conto che ho fatto una cosa orribile e mi dispiace molto perchè volevo bene alla mamma». La donna si è autodenunciata lo scorso 24 aprile, quando è andata in questura per raccontare di aver trovato la madre impiccata e di averne fatto a pezzi il corpo, perché presa dal panico. Secondo quanto accertato dalla Procura, che ora indaga per omicidio volontario, tra madre e figlia ci sarebbe stato un insanabile conflitto dovuto al fatto che Loredana Stupazzoni accusava la figlia di avere la colpa della morte del nipotino, avvenuta a soli tre anni. Il bimbo è deceduto per un arresto cardiocircolatorio seguito a una crisi respiratoria, tuttavia la Stupazzoni accusava la figlia di esserne responsabile. La donna è in carcere per distruzione di cadavere ed è indagata per omicidio volontario. O la versione della figlia è vera e Loredana si è suicidata impiccandosi, oppure è falsa e ha ucciso la madre prima di smembrarne il corpo. In ogni caso non esiste il coinvolgimento di nessuna figura maschile, ma è femminicidio lo stesso: l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Loredana sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione maschilista, del patriarcato, eccetera. Così nascono 112 femminicidi.
È difficile definire la modalità di compilazione di tale Osservatorio come l’intento genuino di fornire delle statistiche imparziali; sembra piuttosto un modo di manipolarle, le statistiche. Propaganda ideologica per classificare come delitti dell’odio misogino degli episodi che, pur tragici, con l’odio misogino non hanno nulla a che fare. Femminicidio è qualsiasi episodio nel quale perda la vita una donna, non conta il movente, la modalità e nemmeno il genere dell’assassina: nipoti che uccidono zie, regolamenti di conti tra spacciatori e tossicodipendenti, madri che uccidono figlie e figlie che uccidono madri. Basta che la vittima sia una donna, è femminicidio.
L’osservatorio di Repubblica sui “femminicidi”: un deposito di falsità (3)
Aneliya Dimova – Uccisa nel corso di una rapina. «Andrea Renda, 32 anni, ha fatto irruzione nella notte tra il 29 e il 30 agosto nell’abitazione di Belvedere Marittimo, dove ha ucciso la 55enne bulgara colpendola alla testa con una bottiglia di whisky per poi portare via alcuni oggetti di valore. Per gli inquirenti si è trattato di una rapina di scarso valore degenerata in un episodio estremamente grave». Il maldestro ladruncolo trasformatosi in assassino ha venduto la refurtiva a un compro oro dello stesso paesino in cui ha commesso l’omicidio, Belvedere Marittimo in provincia di Cosenza, il tutto immortalato dalle immagini delle telecamere del negozio. Una rapina finita nel sangue, il movente è ovviamente economico poiché il ladro-assassino non ha cercato di simulare la rapina per nascondere qualche forma di vendetta, non aveva alcun motivo di risentimento nei confronti della vittima, non era la sua ex moglie, non era uno spasimante respinto, nemmeno la conosceva. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Aneliya sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione patriarcale. Così nascono 112 femminicidi
Brunella Cerbasi – Uccisa dal figlio con disturbi psichiatrici conclamati, in cura al CIM. Fabio, 33 anni, uccide la madre a colpi di cacciavite in uno dei frequenti eccessi di furia violenta che non sa spiegare agli inquirenti. Le forze dell’ordine venivano chiamate spesso dai vicini, allarmati da urla e rumori di oggetti distrutti nel corso dei continui litigi tra Brunella ed il figlio. Fabio dopo l’omicidio non è in grado di percepire la gravità del gesto compiuto, il mattino successivo passeggia per Torre del Greco ed incontrando la nonna le dice tranquillamente «ho ucciso la mamma». È la nonna, terrorizzata, ad avvisare gli inquirenti. C’è un disturbo evidente, che le strutture sanitarie – pur avendolo diagnosticato – non hanno saputo né curare né arginare. I vicini parlano di tragedia annunciata, Brunella non poteva essere lasciata sola ad occuparsi di un pazzo che non era in grado di contenere. Non c’è maschilismo, possesso, gelosia morbosa o altro, tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Brunella sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione patriarcale. Così nascono 112 femminicidi
Luciana Torri – Uccisa dal figlio Federico, psicolabile. «Diceva a sua madre che aveva le allucinazioni. Era taciturno e gentile», un ragazzo con seri problemi psichiatrici, tanto introverso e taciturno all’esterno quanto violento in casa. Dava spesso in escandescenze a causa delle sue allucinazioni, solo la madre riusciva a calmarlo. «Lei riusciva a calmarlo. La sera si stendeva a letto vicino a lui, parlavano e lui si placava. Luciana viveva per suo figlio Federico», dice chi conosceva Luciana e Federico. Non c’è oppressione patriarcale, gelosia morbosa o altro, tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Luciana sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa del maschilismo tossico. Così nascono 112 femminicidi.
Francesca Musolino – Uccisa insieme al marito nel campo in cui raccoglievano le olive, duplice omicidio rimasto senza colpevole per un mese. Poi gli inquirenti individuano l’assassino in Francesco Barillà, cugino delle vittime. Il movente è legato ad interessi economici, aspri e prolungati dissidi per la proprietà del terreno che Francesca e il marito coltivavano. A prescindere dagli esisti delle indagini, risulta difficile comprendere come in un duplice omicidio, compiuto lo stesso giorno, dallo stesso autore e con le stesse modalità, si possa stabilire uno sdoppiamento ideologico in base al genere delle vittime. La donna viene uccisa «per possessività, radice culturale del fenomeno, cultura maschilista e patriarcale» (cit. Murgia): se fosse vero, per quale motivo l’uomo non è stato risparmiato? Per quale motivo la cultura maschilista ha ucciso anche il marito? Oppure qualcuno vuole sostenere che l’assassino avesse obbiettivi sdoppiati, ha ucciso la moglie perché odia le donne, solo il marito è morto per un movente economico. Resta il fatto che l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Francesca sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione patriarcale. Così nascono 112 femminicidi.
L’osservatorio di Repubblica sui “femminicidi”: un deposito di falsità (4)
Eleonora Manta – Uccisa insieme al fidanzato, Daniele De Santis. Duplice delitto apparentemente inspiegabile. Nella vita delle due vittime non vi sono lati oscuri, debiti, nemici. Le indagini portano all’arresto di Antonio De Marco, ex coinquilino della coppia, che confessa di avere ucciso i due ragazzi perché «erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia», dichiarazione testuale riferita dagli inquirenti. «La fortissima premeditazione è confermata sia dalle attività d’ispezione che il soggetto ha fatto nei giorni precedenti e anche durante la giornata dell’episodio, sia dall’esame del bigliettino perso dal soggetto, ove non soltanto vi è uno studio dell’itinerario da seguire per evitare le telecamere, ma anche la programmazione dell’azione omicida preceduta da una attività preliminare prodromica all’omicidio». Quando viene arrestato, De Marco si consegna alle forze dell’ordine ridendo. Dall’interrogatorio: «Volevo farli a pezzi e bollirli, farli sparire». Sui bigliettini trovati dai RIS il piano di Antonio era: cogliere di sorpresa i due fidanzati, immobilizzarli e seviziarli. Ha pianificato tutto nei minimi dettagli: «10/15 minuti di tortura», «30 minuti di pulizia» da eseguire con la candeggina e la soda che aveva portato con sé. L’ultimo passo è «15 minuti di controllo generale» e un’eventuale scritta sui muri, un messaggio alla città.
Un ragazzo apparentemente normale, trasformatosi in criminale mitomane capace di un duplice delitto con 60 coltellate per poi lanciare un messaggio alla città. Eleonora non era la sua ex, non c’era un rapporto interrotto né delle avances rifiutate. Nella sua maniacale pianificazione De Marco fa sempre riferimento ad entrambi i fidanzati senza mostrare alcun accanimento particolare nei confronti della ragazza. Come già osservato per altri delitti plurimi, l’episodio matura per mano della stessa persona, nello stesso momento, con le stesse modalità e con lo stesso movente (erano troppo felici), ma la narrazione si sdoppia in base al genere della vittima: l’uomo viene ucciso da un pazzo, la donna da un femminicida patriarcale. L’episodio infatti figura nell’elenco dei femminicidi, quindi Eleonora sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della persecuzione maschilista. Così nascono 112 femminicidi.
Angela Tufano – Neonata uccisa subito dopo il parto in casa, gettata dalla finestra e trovata morta in una aiuola. All’inizio entrambi i genitori vengono iscritti nel registro degli indagati, dopo le prime indagini la madre, Margherita Galasso, viene arrestata e il padre, Massimo Tufano, resta indagato a piede libero. «Infanticidio commesso dalla madre, dicono gli inquirenti, che è in carcere per omicidio volontario. Poi, a causa delle patologie psichiatriche per le quali era già in cura da anni, va agli arresti domiciliari presso la casa di cura Villa Chiarugi a Nocera Inferiore. Nella stessa inchiesta è indagato, ma a piede libero, anche il marito della donna. Su di lui, il gip non ha ravvisato indizi ed elementi tali da ritenerlo coinvolto nel delitto». Infanticidio causato dai disturbi psichiatrici della madre, patologia tanto grave da rendere Margherita incompatibile col regime carcerario. Tuttavia, anche se l’infanticidio fosse stato commesso in concorso da entrambi i genitori, resta da capire come si possa sostenere che padre e madre uccidono una figlia inquantodonna mentre avrebbero risparmiato il neonato se fosse stato maschio.
Né il disturbo mentale, né la percezione insana di una figlia impossibile da mantenere e della quale bisogna liberarsi, possono portare ad un crimine selettivo: infanticidio se nasce una femmina, salvezza se nasce un maschio. Da qualunque lato la si osservi, la vicenda non può essere catalogata come prevaricazione di genere. Distrutti i proclami della Murgia: «il femminicidio è la mortificazione civile, cioè tutte quelle negazioni di dignità fisica, psichica e morale che sono rivolte sia alle singole donne in quanto tali, sia a tutte le donne nella loro appartenenza di genere». Una madre psicolabile che uccide la figlia viene utilizzata per sostenere che la toxic masculinity negherebbe la dignità a tutte le donne nella loro appartenenza di genere. Infatti l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Angela sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione patriarcale. Così nascono 112 femminicidi.
Giovanna Gilberto – «Il marito uccide l’anziana moglie, malata da tempo, e poi si toglie la vita, lasciando una lettera d’addio ai suoi due figli e motivando l’insano gesto». Un altro dei tanti delitti tra ultraottantenni che vengono infilati a forza tra i femminicidi e che da anni definiamo delitti eutanasici, scaturiti cioè dal desiderio del marito di porre fine alle sofferenze della moglie anziana e malata di una patologia irreversibile e degenerativa. Nel 90% dei casi l’autore del gesto poi si toglie la vita, col proposito di non voler sopravvivere alla moglie. Altro elemento comune è una lettera con le spiegazioni del gesto: per non essere di peso ai figli, per non far più soffrire lei, per non soffrire più insieme, per una vita senza più dignità, per l’avanzare della malattia che non consente più di occuparsi l’uno dell’altra, per la solitudine, il dolore, la povertà, la disperazione. Non sono rari i casi in cui nella lettera compare anche la richiesta di essere sepolti insieme, dopo una vita trascorsa l’uno a fianco dell’altra.
Sono episodi riconosciuti come estremi gesti d’amore nel tentativo di restituire un briciolo di dignità, almeno nella morte, a una persona che la sta definitivamente perdendo a causa di patologie incurabili. Sarebbe limitato definire certe patologie solo invalidanti, dolorose e degenerative: più di tutto sono patologie umilianti per chi ne è affetto, e quando i pazienti smettono di avere percezione del mondo esterno diventano deprimenti per chi di loro si occupa. Va compreso il gesto di chi non ce la fa più ad ascoltare il lamento per dolori che nessuno è in grado di affievolire, non ce la fa a veder soffrire la persona amata che vegeta in un letto, non riconosce più nemmeno i parenti, non capisce cosa accade intorno a lei, non è più autosufficiente, ha perso il controllo degli sfinteri, deve essere accudita h24 perché è compito di altri nutrirla, somministrarle farmaci, lavarla, sollevarla a sedere sul letto o spingerla su una carrozzina. L’omicidio di un coniuge malato terminale non va mai giustificato né tantomeno legittimato, ma compreso sì. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Giovanna sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della persecuzione maschilista. Così nascono 112 femminicidi.
Giovanna Gamba – 60 anni «vittima di un raptus del figlio 33enne, con problemi psichiatrici e uscito da un tunnel di droga e alcol». L’assassino ha indirizzato la sua rabbia verso chiunque, la pulsione criminale non si placa nemmeno dopo aver ucciso la madre: ha aggredito due anziani incontrati sul pianerottolo, poi medicati dal 118, altri vicini si sono chiusi in casa per fuggire al raptus del giovane, altri ancora sono scappati in cortile. Ha seminato il terrore nell’intero condominio, poi ha aggredito anche i quattro agenti arrivati ad arrestarlo. Un evidente raptus di follia diretto contro chiunque, in prevalenza uomini… ma non si può dire, la Murgia non vuole. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Giovanna sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della persecuzione maschilista. Così nascono 112 femminicidi.
Germana Maranini – 87enne deceduta per cause naturali, il figlio 62enne iscritto nel registro degli indagati come atto dovuto, con l’imputazione di abbandono di persona incapace. «Madre e figlio vivono in due appartamenti nello stesso stabile, il figlio ha chiamato i soccorsi giovedì mattina quando si è accorto che la madre, riversa sulle scale che collegano i due appartamenti, non respirava più. A poliziotti e soccorritori avrebbe detto che l’anziana non voleva andare in ospedale per paura del covid e che avrebbe chiesto di essere curata in casa. Il decesso, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe riconducibile a cause naturali». Il corpo di Germana non rivela alcun segno di violenza, neanche riconducibile a una eventuale caduta dalle scale; dovrebbe quindi essersi accasciata per un malore, probabilmente intendeva chiedere aiuto al figlio nell’appartamento sottostante, ma non ce l’ha fatta. L’eventuale responsabilità del figlio è quella di non essere stato presente a fianco della madre – che pure viveva da sola – nel momento del malore, nonché di non essersi accorto immediatamente di Germana riversa sulle scale ed aver chiamato i soccorsi solo il mattino successivo.
Un rimorso, forse, un femminicidio è un’altra cosa. L’autopsia doveva stabilire l’ora la natura del malore e l’ora esatta del decesso, per comprendere se il figlio avrebbe potuto salvare Germana chiamando i soccorsi prima. Tuttavia non è stato possibile trovare notizie sull’esito dell’autopsia, né sugli sviluppi della vicenda giudiziaria, pur avendo reperito e consultato 11 diverse fonti giornalistiche. Probabilmente la vicenda si è conclusa con un nulla di fatto e, non essendoci alcun mostro da sbattere in prima pagina, i media non si sono più interessati alla vicenda. Ci pensa l’Osservatorio di Repubblica: l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Germana sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione di genere. Così nascono 112 femminicidi.
Luana Antonazzo – Omicidio-suicidio: Luana uccisa a coltellate dalla figlia, che poi si toglie la vita gettandosi dal nono piano. «Il lavoro perso da qualche giorno, l’intenzione della mamma di riportarla a Lecce, un tentativo di fuga andato male. Questi i presupposti della tragedia nella quale Luana Antonazzo ha trovato la morte per mano della figlia, Chiara Rollo, che si è poi suicidata. Il disperato messaggio al fidanzato della figlia: “Chiara mi sembra scompensata. È diventata aggressiva, non riesco a trattenerla. Torna qui”. Un appello che il fidanzato di Chiara, però, legge troppo tardi, quando ormai la tragedia si è già consumata». I cronisti riferiscono un precedente ricovero in ospedale di Chiara, i farmaci che doveva prendere per “i suoi disturbi” non meglio identificati, un paio di fughe da Torino, la reazione aggressiva quando Luana la raggiunse dalla Puglia per poterla aiutare, le continue liti fra madre e figlia. Una persona con evidenti difficoltà note sia al fidanzato che alla madre, la quale insisteva per riportare Chiara a Lecce poiché la riteneva in pericolo se fosse rimasta lontana, in quanto non in grado di vivere da sola. Non è dato di sapere se i timori di Luana fossero motivati o se siano state proprio le sue pressioni ad esasperare Chiara che rivendicava la propria autonomia; in ogni caso abbiamo una figlia da che uccide la madre della quale rifiutava i consigli, gli aiuti, la stessa presenza. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Luana sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della prevaricazione maschilista. Così nascono 112 femminicidi.
La relazione è un lungo e faticoso excursus nel terreno sconfinato della mistificazione ideologica a mezzo stampa. Questa di demistificare manipolazioni così palesi è un’attività che portiamo avanti da molto tempo e che pure non trova alcun varco nella comunicazione mainstream, ma nemmeno nella narrazione diffusa attraverso canali più semplici come i social. Il motivo è probabilmente nella complessità della materia. Per questo motivo, al termine della carrellata di quattro giorni, abbiamo ritenuto utile produrre un’infografica sintetica, da contrapporre a chi parli di femminicidi come di una carneficina dilagante citando i media mainstream come fonte autorevole ed affidabile.
Gli omicidi di donne per mano maschile e con movente passionale sono sempre esistiti, continuano a esistere e, purtroppo, esisteranno sempre. Negli ultimi anni sono stati molto pochi, per fortuna, una media di 40 all’anno. Per quanto si tratti di fatti orribili e tragici, non hanno i requisiti dimensionali per un’emergenza nazionale, ed è uno dei motivi per cui l’Italia è riconosciuta a livello europeo come uno dei paesi più sicuri in generale, e in particolare per le donne. Nonostante ciò, sul fenomeno si concentra una straordinaria potenza di fuoco mediatica espressa dal marketing ideologico femminista con l’indispensabile supporto dei media, stretti in un patto di ferro finalizzato, come si è visto, a sovradimensionare il fenomeno, includendo in esso qualunque evento che abbia comportato la morte di una donna.
Colibrì ringrazia il Dott. Fabio Nestola, Centro Studi Applicati - Roma, per la sua collaborazione.