Come estensore del ddl 957 di cui si occupa Repubblica.it del 12/6 chiedo ospitalità per alcune precisazioni.
L’affidamento condiviso ha notoriamente molto faticato a divenire
legge dello stato, tenacemente avversato per anni da una parte
dell’avvocatura e della magistratura. La prima verosimilmente nel timore
che un modello non discriminatorio di affidamento, per giunta
accompagnato da una incrementata pratica della mediazione familiare,
potesse ridurre sensibilmente il contenzioso; la seconda nella fondata
convinzione che accrescere nei cittadini la certezza dei diritti
mediante il riconoscimento di principi rigorosamente definiti avrebbe
parallelamente diminuito il proprio potere discrezionale. Una ostilità
che si è non sorprendentemente placata nel momento in cui, attraverso
l’invenzione giurisprudenziale del genitore “collocatario”, che conserva
come il vecchio “affidatario” il monopolio del rapporto con i figli e
riceve dall’altro il denaro per prendersene esclusiva cura, si è
riusciti a vanificare la riforma lasciando tutto come prima. Ecco perché
quando i fautori di una vera doppia genitorialità sono tornati in
Parlamento per realizzarla gli stessi avversari del 2006 sono diventati i
principali difensori del testo in vigore. Né a tale scopo si è guardato
per il sottile. La tecnica è stata principalmente quella di perdere
tempo, accompagnata da critiche alla nuova proposta del tutto prive di
fondamento. Così il “doppio domicilio” è divenuto scandalisticamente
“doppia residenza”, la necessità di informarsi sulla mediazione
è diventato “mediazione obbligatoria”, ricollocare l’interesse del
minore in modo da riferirlo alle decisioni che non riguardano i suoi
indisponibili diritti è fatto passare per “cancellazione
dell’interesse”. E così via. E’ in questo preoccupante contesto che
arriva la “denuncia” di Pangea di cui Repubblica del 12/6.
Sorvoliamo su sviste come la confusione tra disegni di legge e
decreti-legge o tra affidamento congiunto e condiviso. Apprendiamo con
soddisfazione che l’ONU invia “una serie di segnalazioni alle
istituzioni italiane in riferimento alla legge sull’affido condiviso”.
Evidentemente ha già risolto i problemi della Siria. Resta il fatto che
gli estensori del messaggio a Repubblica si dimostrano pesantemente
disinformati. La mediazione familiare conserva, come in tutti i testi da
me compilati, una obbligatorietà relativa alla sola informazione. Il
genitore che ha subito violenza, d’altra parte, dovrà solo far presente
tale circostanza e potrà rifiutare la mediazione senza inconvenienti.
Qui è evidente che si è fatta confusione con la legge Finocchiaro n. 154
dell’8 marzo 2001, che effettivamente prevede che il giudice possa
disporla tra la violentata e il violentatore. Anzi, la stesura più
recente del 957, ddl 3289, così recita sul problema degli abusi
familiari: “«Il giudice può escludere un genitore dall’affidamento, con
provvedimento motivato, qualora ritenga che da quel genitore, se
affidatario, possa venire pregiudizio al minore. La comprovata e
perdurante violenza, sia fisica che psicologica nei confronti dei figli,
in particolare la manipolazione di essi mirata al rifiuto dell’altro
genitore a al suo allontanamento, comporta l’esclusione
dall’affidamento.” La PAS non è neppure nominata; ma che quando ci si
separa venga tentata, a volte con successo, la manipolazione dei figli è
triste e frequentissimo fenomeno, sicuramente da sanzionare. Quanto
alla reintroduzione della “patria potestà”, neppure l’ombra. Si
stabilisce che anche se la coppia non è coniugata la potestà è
esercitata da entrambi i genitori, secondo quanto prescrive l’art. 316
c.c. oggi in vigore per la coppia coniugata, al fine di completare
l’equiparazione tra filiazione naturale e legittima. Che poi questo oggi
preveda che nelle gravi emergenze provveda il padre è sicuramente
disposizione criticabile; ma il ddl 957 cosa c’entra?
Marino Maglietta (pres. ass. naz. Crescere Insieme)
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