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DOCUMENTI: Osservazioni tecniche in merito al ddl 735 e collegati

Written By Redazione on mercoledì 6 febbraio 2019 | 00:31




Prof. Arturo Maniaci
Professore aggregato di Istituzioni di diritto privato 
Dipartimento di Diritto privato e storia del diritto Università degli Studi di Milano
Responsabile Area Legale di Colibrì.

Alla Commissione Giustizia del Senato della Repubblica

OSSERVAZIONI TECNICHE IN RELAZIONE AL DISEGNO DI LEGGE N. 735
E AD ALTRI 4 DISEGNI DI LEGGE COLLEGATI (NN. 45, 118, 768, 837)


Sommario:
1.- Genesi e finalità dei disegni di legge in discussione
2.- L’attuale sistema in materia di crisi della coppia genitoriale: legge versusgiurisprudenza
2.1.- Premessa. La ‘rivoluzione clandestina’: dallo Stato legislativo allo Stato giurisdizionale
2.2.- Il diritto alla bigenitorialità secondo i giudici italiani
2.3.- L’assegnazione e perdita della casa coniugale secondo i giudici italiani
2.4.- L’affidamento dei minori a soggetti terzi e la responsabilità genitoriale secondo i giudici italiani
2.5.- Il mantenimento diretto secondo i giudici italiani
2.6- L’ordine di distrazione di somme dovute da terzi a uno dei coniugi secondo i giudici italiani
3.- L’urgenza e indifferibilità di una riforma legislativa in tema di affidamento condiviso



  1. Genesi e finalità dei disegni di legge in discussione.
I cinque disegni di legge nn. 735, 45, 118, 768 e 837, presentati nel corso dell’attuale XVIII Legislatura, riguardano un tema, quello delle regole relative alla crisi delle coppie con figli, che è trasversale o, quantomeno, meritevole di essere “depoliticizzato” (tant’è che i senatori firmatari di tali progetti di legge appartengono a forze politiche eterogenee, anche estranee alla compagine dell’attuale maggioranza di governo).
Gli istituti giuridici in cui possono sfociare le crisi delle coppie genitoriali (separazione coniugale, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, dissoluzione della convivenza more uxorio), involgono, infatti, diritti fondamentali (come ad esempio quello del minore alla bigenitorialità, all’ascolto, alla effettività della tutela, ovvero quello del genitore alla dignità e alla continuità della relazione affettiva con la prole), profili socio-economici (situazioni reddituali individuali e familiari; condizioni abitative; qualità delle relazioni familiari e sociali; natalità e denatalità; tempo per attività formative, lavorative, sportive e ludiche; spese per beni e servizi), aspetti biomedici e psicologici (problemi di salute psico-fisica di soggetti in età evolutiva; soddisfacimento di bisogni primari, patologie, disturbi mentali e relazionali, stati depressivi e disagi di adulti), nonché problemi in cui sono in gioco voci consistenti del bilancio dello Stato (sanità, assistenza sociale, amministrazione della giustizia).
I presupposti e le finalità sottese ai disegni di legge in questione possono essere ricondotti e ridotti a un comune denominatore, che emerge anche dalle rispettive Relazioni illustrative: la disapplicazione, o mancata applicazione, di una legge dello Stato (la Legge 8 febbraio 2006, n. 54, contenente “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”).
Che tale legge, tràdita dal Parlamento al popolo italiano nel 2006, sia stata tradìta, per ben tredici anni (dai giudici e, in parte, dagli avvocati), è un fatto notorio: lo attestano, infatti, anche l’Istituto Nazionale di Statistica[1]il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca[2].
Nella prassi delle separazioni e dei divorzi che vedono la presenza di figli minorenni, non si è, cioè, ancòra abbandonato nella sostanza il vecchio modello c.d. monogenitoriale, pervenendo all’invenzione giurisprudenziale della stravagante figura del genitore “collocatario”, prevalente o preferenziale, che vede appunto un genitore protagonista nella frequentazione dei figli e di conseguenza nei compiti di cura, educazione, istruzione e assistenza degli stessi, e l’altro genitore, invece, degradato a mero erogatore di un assegno di mantenimento e relegato al ruolo di “visitatore” (lemma il cui etimo evoca significativamente sia l’idea dell’alienità, sia il processo di alienazione, di una delle due figure genitoriali rispetto alla vita quotidiana della prole).

  1. L’attuale sistema in materia di crisi della coppia genitoriale: legge versusgiurisprudenza.
2.1.Premessa. La ‘rivoluzione clandestina’: dallo Stato legislativo allo Stato giurisdizionale.
Stiamo assistendo oggi alla discussione circa il testo di vari progetti di legge, la cui genesi e finalità è – come si è visto – quella di sopperire (se e quando diventeranno legge) alla mancata applicazione di una legge già vigente.
Si tratta, già sotto tale profilo, di un fenomeno paradossale, prodotto dalla degenerazione dello Stato di diritto liberal-democratico, che registra un progressivo slittamento del potere normativo dal Parlamento alla magistratura, e cioè di quella che un professore tedesco emerito di diritto civile ha efficacemente chiamato ‘rivoluzione clandestina’, dallo Stato di diritto allo Stato dei giudici[3]. Ma la natura clandestina o segreta di tale rivoluzione non è certo idonea a far venir meno, ridimensionare o attenuare la portata o l’effetto di sovvertimento dei principi costituzionali e democratici, fra cui, in primis, quello della separazione dei poteri[4].
Proprio in un settore così nevralgico e delicato come il diritto della crisi familiare, infatti, non sono infrequenti le ipotesi in cui il giudice non rispetta il vincolo del testo normativo e – facendosi portatore di opinioni personali, ideologie, pregiudizi radicati o altri, più o meno ‘nobili’, sentimenti – propone soluzioni tali da superare e persino sventrare i ‘cancelli delle parole’[5]consegnàtigli dal legislatore.
Qui di seguito saranno menzionate, a titolo meramente esemplificativo, alcune ipotesi di interpretazione contra legemin materia giusfamiliare[6].
2.2.Il diritto alla bigenitorialità secondo i giudici italiani.
Il legislatore, nell’affermare il principio di bigenitorialità, dice che «il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi(…). Il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i minori restino affidati a entrambii genitori» (art. 337-tercod. civ.).
La giurisprudenza, invece, dice che va adottata la regola del collocamento (o dimora) prevalente, coniando un criterio presuntivo basato sulla «mother preference»[7]nei tempi di frequentazione dei figli ed affermando conseguentemente che l’affidamento fisicamente condiviso della prole sarebbe contrario alle «esigenze di stabilità dell’habitat domestico del minore e del diritto di avere una relazione significativa e costante con il genitore collocatario»[8].
2.3.L’assegnazione e perdita della casa coniugale secondo i giudici italiani.
Il legislatore dice che «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio» (art. 337-sexies, 1° comma, 3° alinea, cod. civ.).
La giurisprudenza, invece, dice che «ai fini dell’assegnazione della casa familiare assume rilievo esclusivamente l’interesse del figlio»[9]e – proteggendosi sotto l’ombrello retorico del c.d. interesse del minore dalla altrimenti scrosciante pioggia dogmatica ed esegetica – è arrivata ad affermare che «l’instaurazione di un rapporto more uxorioda parte del coniuge affidatario dei figli minorenni non giustifica di per sé la revoca dell’assegnazione della casa familiare, trattandosi di circostanza ininfluente sull’interesse della prole», che consiste nella «conservazione del proprio habitat domestico»[10], così sponsorizzando un “nuovo” diritto del minore alla trigenitorialità (genitore collocatario, convivente more uxoriodel genitore collocatario e, in posizione rigorosamente subalterna rispetto ai primi due, genitore non collocatario).
2.4.L’affidamento dei minori a soggetti terzi e la responsabilità genitoriale secondo i giudici italiani.
Il legislatore dice che «il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propriafamiglia» (art. 1 L. n. 184/1983 e succ. mod.), che «il giudice può pronunziare la decadenza della responsabilità genitoriale quando il genitore viola (…) i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio per i figli» (art. 330cod. civ.), e che, «quando la condotta di uno o di entrambi i genitori (…) appare (…) pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti» (art. 333 cod. civ.).
La giurisprudenza (in questo caso, va precisato: di merito, più che di legittimità) dice, invece, che, in caso di (mera) conflittualità giudiziale fra i coniugi, i figli vanno affidati a terzi che non hanno alcuna relazione affettiva con essi (servizi sociali territoriali), con conseguente ablazione o limitazione della responsabilità genitoriale[11], laddove l’affidamento della prole a un ente è concepita dal legislatore come l’extrema ratio, essendo tale misura confinata ad ipotesi del tutto marginali, che presuppongono peraltro un grave pregiudizio per la prole e la contestuale assenza di altri parenti o figure affettive di riferimento idonee[12].
2.5.Il mantenimento diretto secondo i giudici italiani.
Il legislatore dice che, «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figliin misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità (…)» (art. 337-ter, 4° comma, cod. civ.).
La regola oggi vigente e imperante in via prioritaria in tema di contribuzione al mantenimento della prole è, quindi, il mantenimento diretto, mentre quello c.d. indiretto, e cioè attraverso la corresponsione di una somma periodica di denaro da un genitore in favore dell’altro (c.d. “assegno di mantenimento”), è un’ipotesi residuale ed eccezionale.
Nella prassi dei tribunali italiani, invece, il mantenimento diretto è pressoché sconosciuto ai giudici italiani, i quali arrivano per soprammercato a negare l’omologazione di una separazione consensuale se nelle relative condizioni non via sia menzione di un assegno mensile periodico destinato ai figli, che peraltro viene sempre surrettiziamente incamerato dal genitore “collocatario”, senza alcun obbligo o onere di rendicontazione e anzi con la facoltà per tale genitore di scegliere arbitrariamente le spese straordinarie (e cioè extra-assegno di mantenimento) destinate a soddisfare l’interesse e i bisogni dei figli.
2.6.L’ordine di distrazione di somme dovute da terzi a uno dei coniugi secondo i giudici italiani.
In tema di separazione coniugale e in relazione all’ipotesi di inadempimento degli obblighi di mantenimento gravanti su uno dei due coniugi, il legislatore dice che, «su richiesta dell’avente diritto, il giudice può (…) ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una partedi esse venga versata direttamente agli aventi diritto» (art. 156, 6° comma, cod. civ.).
La giurisprudenza, invece, dice che l’espressione «parte», contenuta in tale disposizione, può essere sinonimo di «tutto», e quindi arriva a legittimare l’ordine di distrazione (o pagamento diretto) dell’intero stipendio di cui fruisce un genitore in favore dell’altro genitore[13], con buona pace della semantica, della logica e delle nozioni elementari di mereologia.

  1. L’urgenza e indifferibilità di una riforma legislativa in tema di affidamento condiviso.
Come si possa, in un simile quadro giuridico (che eleva la bigenitorialità a diritto fondamentale del minore, suscettibile di essere escluso o limitato soltanto in casi eccezionali e assolutamente marginali), arrivare agli esiti interpretativi di cui si è detto supra(§ 2) è difficile spiegare, se non presupponendo:
-      un sistematico abuso dei margini di discrezionalità lasciati dal legislatore, come confermato dai possibili impieghi del sintagma del c.d. interesse del minore, che, come ogni “scatola vuota”, può essere ermeneuticamente riempita di ogni possibile contenuto, potendo giustificare una determinata soluzione o quella diametralmente opposta;
-      il ricorso ai medesimi cliché, rituali o modelli, che si risolvono in una giustizia standardizzata o in vuote formule di stile, e cioè autoreferenziali (perché prive di reale motivazione);
-      interpretazioni non costituzionalmente conformi, arbitraria disapplicazione (o elusione) di principi, diritti e norme giuridiche, nonché vere e proprie “invenzioni” giurisprudenziali di istituti (collocamento o dimora abituale, diritti di visita, trattamenti sanitari coatti non previsti dalla legge);
-      l’immobilismo e la stabilizzazione di decisioni provvisorie, sommarie e urgenti, che dovrebbero caratterizzare soltanto la c.d. fase presidenziale del procedimento di separazione o divorzio e non essere, invece, nei fatti resistenti a modificazioni più di una lega metallica composta da acciaio e titanio (anzi, in alcune ipotesi, al fine di legittimareex poste consolidare situazioni contrarie alla bigenitorialità, si richiama una presunta “stabilità” dei minori, che si sarebbero a distanza di tempo abituati a fare a meno della relazione con uno dei genitori);
-      costi e tempi che rendono mero flatus vocisl’accertamento definitivo di situazioni giuridiche soggettive, fra le quali il diritto fondamentale del minore ad avere e mantenere una relazione con entrambe le figure genitoriali (perché quod factum est infectum fieri nequit, e i figli dopo un processo di separazione e di divorzio diventano ormai adulti, quando non anch’essi genitori);
-      un diritto “dominicale” dello Stato (rectius, dei Comuni) sui cittadini minorenni (come fossero un bene demaniale, oggetto di “concessione” in favore dei genitori biologici, affinché questi possano provvedere ai relativi oneri di mantenimento, salvi i poteri di ingerenza, di controllo e di veto spettanti al “nuovo proprietario”);
-      un ricorso massiccio a consulenze tecniche d’ufficio e abuso da parte dei periti nominati dai Tribunali (i cui criteri di scelta adottati non sempre riflettono i principi di adeguata trasparenza e di turnazione), consistente anche nell’utilizzo di strumenti di verifica di assai dubbia scientificità (come il test di Rorschach, al cui esito viene affidata e subordinata la valutazione dell’idoneità genitoriale);
-      una delega più o meno espressa di poteri a soggetti che non possono esercitare poteri giurisdizionali (assistenti sociali, curatori speciali, genitore ‘collocatario’);
-      un valore probatorio dirimente delle (e un appiattimento sulle) relazioni dei consulenti tecnici d’ufficio nominati dai tribunali o dei servizi sociali, senza la garanza di alcun contraddittorio e senza alcuna possibilità di difesa o contestazione.
Alla luce di tutto ciò, una riforma dell’affidamento condiviso è diventata ormai urgente ed indifferibile.
Lo impone l’art. 30 della nostra Costituzione, che contempla il mantenimento, l’istruzione e l’educazione come diritti e doveri gravanti su entrambi i genitori.
Lo impongono le indicazioni contenute nella Risoluzione n. 2079/2015 del Consiglio d’Europa, che ha valorizzato l’elemento della presenza di entrambi i genitori nella crescita dei figli, sollecitando gli Stati membri (che sono ben 47) a promuovere l’affidamento condiviso attraverso l’introduzione del principio della shared residencedei figli di genitori separati o divorziati, definito come quella forma di affidamento in cui i figli trascorrono «tempi più o meno eguali presso i due genitori» e che può essere limitato soltanto nei casi eccezionali di «abuso o di negligenza verso un minore, o di violenza domestica»), nonché quelle contenute nel Report doc. 13870 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in data 14 settembre 2015 (che individua il principio di “shared residence” come quello maggiormente idoneo a realizzare «positive effects» per i minori di tutte le età, ivi compresi i bimbi più piccoli).
Lo impongono, inoltre, le numerose sentenze della Corte EDU che hanno condannato l’Italia per aver violato il diritto alla genitorialità o alla bigenitorialità, garantiti dall’art. 8 della CEDU[14].
disegni di legge in questione si fanno carico, seppur ciascuno in misura, con modalità e attraverso strumenti diversi, dell’esigenza di: (i) garantire ai figli di coniugi separati o di ex coniugi (divorziati) una relazione stabile con entrambi i genitori, nella consapevolezza che questa relazione triadica richiede tempi di frequentazione e di cura del tutto incompatibili con quelli attualmente sponsorizzati dalla stragrande maggioranza dei giudici italiani; (ii) prevenire, non favorire o comunque mitigare i conflitti giudiziali familiari; (iii) restituire ai genitori la capacità di autodeterminarsi in funzione dei bisogni e delle esigenze dei figli, responsabilizzandoli sia sul piano educativo sia su quello dell’assolvimento degli obblighi di mantenimento; (iv) risolvere problemi che presentano ingenti costi sociali, economici, medici e biologici (che altrimenti graverebbero sulla collettività), alla luce dell’elevato numero di persone concretamente coinvolte nelle crisi delle coppie genitoriali (peraltro, intorno alla vita dei membri della coppia genitoriale in crisi e dei relativi figli possono ruotare una pletora di soggetti a vario titolo interessati alla vicenda: parenti, nuovi/e compagni/e, amici, colleghi, datori di lavoro, conoscenti).





[1]Cfr. Report ISTAT in data 14 novembre 2016 su matrimoni, separazioni e divorzi: «al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione».
[2]Cfr. Nota MIUR prot. 5336 del 2 settembre 2015: «va constatato che, nei fatti, ad otto anni dall’approvazione della legge sull’affido condiviso, questa non ha mai trovato una totale e concreta applicazione anche nella quotidiana ordinarietà della vita scolastica dei minori».
[3]B. Rüthers, Die heimliche Revolution vom Rechtsstaat zum Richterstaat. Verfassung und Methoden. Ein Essay, Tübingen, 2016, tradotto recentemente in italiano per i tipi di Mucchi.
[4]«Il n’appartient pas au magistrat de juger la loi, mais selon la loi»: così, ammoniva uno dei massimi teorici dello Stato moderno (J. BodinLes Six Livres de la République, Paris, 1576, VI, 6, rééd. Foyard, Paris, 1986, 274).
[5]Siamo debitori di questa espressione verso N. IrtiI ‘cancelli delle parole’ (intorno a regole, principi, norme), in Id.Un diritto incalcolabile, Giappichelli, Torino, 2016, 57.
[6]Sul fenomeno dell’arbitrio giudiziale, riscontrabile in diversi settori dell’esperienza giuridica, v. G. ValditaraGiudici e legge, Pagine, 2016, 26 ss. Sulla tendenza del potere giudiziario ad espandersi oltre i confini che gli sono propri, v. criticamente anche C. Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, 87 ss.
[7]Cass. 14 settembre 2016, n. 18087.
[8]Cass. 17 dicembre 2016, n. 25418.
[9]Cass. 14 marzo 2017, n. 6550.
[10]Trib. Palermo, 29 dicembre 2016.
[11]V. ad es. Trib. Milano, est. R. Muscio, ord. 24 novembre 2014: «la conflittualità tra i coniugi, (…) che si ricava dalla lettura dei reciproci scritti difensivi, (…) comporta l’affidamento della prole al Comune», nonché «la limitazione exart. 333 c.c. della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori in relazione alle decisioni di maggior interesse» per la prole, che «saranno assunte dall’Ente Affidatario».
[12]In tal senso, v. ad es. M. Sesta-A. ArceriLa responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, Milano, 2016, 203.
[13]Incredibile dictu, ma vero: Cass. 2 dicembre 1998, n. 12204; Cass. 6 novembre 2006, n. 23668.
[14]A titolo esemplificativo, v. Corte EDU, 23 marzo 2017, Endrizzi c. Italia; Corte EDU, 23 febbraio 2017, D’Alconzo c. Italia; Corte EDU, 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia; Corte EDU, 15 settembre 2016, Giorgioni c. Italia; Corte EDU, 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia, Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardi c. Italia; Corte EDU, 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia; Corte EDU, 30 giugno 2005, Bove c. Italia.
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